Adriana
La gallina è un animale intelligente
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(Cochi e Renato)
Notti di primavera
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Sono notti brevi, dolci, piene di luci e di suoni.
Una sera di fine aprile, non riuscivo ad andare a dormire tanto era bello e continuavo a passeggiare fra il prato e l'orto.
Gatta Gilda mi accompagnava, (lei non si fida a lasciarmi andare in giro di notte da sola).
Non mi seguiva come un cagnolino, ma mi gironzolava attorno, spesso si allontanava attratta da qualche lieve fruscio, qualche piccolo movimento nell'erba o da una pista olfattiva e poi tornava.
L'aria era tiepida, non c'erano zanzare, guardavo le luci lontane e ascoltavo i canti della notte. Soprattutto mi piace sempre il largo e corale gracidare delle rane, che a momenti sembra cessare e poi riprende piano e poi di nuovo forte.... e su questa musica di base si inseriscono, i canti degli uccelli notturni, alcuni dolci e armoniosi, stupendi richiami d'amore, altri lamentosi o addirittura lugubri, ma nel complesso una bellissima sinfonia.
Mi propongo spesso di registrarli, ma poi preferisco semplicemente ascoltare.
E naturalmente non mancavano le stelle in quella limpida notte.
Scrutavo tra l'erba, perché a volte capita di vedere qualche rara lucciola.
E fu colpa delle lucciole se cominciai a pensare alle sere di infanzia, quando le lucciole erano tante tante, e a ricordare con grande nostalgia un mondo che non c'è più, le persone che non ci sono più... e le cose che nella mia vita non sono riuscita a fare... e quelle che non potrò più fare...
E mi bloccai dentro una profonda tristezza e la bellezza della notte di primavera scomparve...
Ma ad un certo punto mi sentii sfiorare il polpaccio da Gatta Gilda, una lieve carezza e poi disse "miau", sì disse! Era un miau sottovoce, dolcissimo, pieno di comprensione, conteneva molti significati, soprattutto mi diceva:
Torna qui.
E saltò via all'inseguimento di una bianca farfalla notturna.
E la notte tornò a risplendere!
Qui
soltanto per ovvie ragioni là mancano dipinti,
cinescopi, ravioli, fazzoletti per lacrime.
Alcuni puoi amarli in modo speciale,
chiamarli a modo tuo
e proteggere dal male.
però nessuno li ritiene belli.
hai qui un tronco separato,
e con esso le cose occorrenti,
affinché ai bimbi altrui tu aggiunga i tuoi.
Inoltre hai braccia, gambe e una testa stupita.
continuamente qualcosa calcola, confronta, misura,
estrae con ciò deduzioni e radici.
Niente qui di solido,
perché da sempre per sempre siamo in balìa della furia degli elementi.
Ma osservi – gli elementi si stancano facilmente
e debbono talvolta lungamente riposare
fino alla volta successiva.
Guerre, guerre, guerre.
Pure tra di esse capitano delle pause.
Attenti! – gli uomini sono cattivi.
Calma! – gli uomini sono buoni.
Stando sull’attenti non si produce nulla.
Nella calma col sudore della fronte si costruiscono le case
e presto vi si abita.
Per i sogni per esempio qui non paghi un centesimo.
Per le illusioni – solo quando svaniscono.
Per il possesso del corpo – soltanto con il corpo.
giri senza biglietto nella giostra dei pianeti,
insieme con essi, gratuitamente, nella bufera galattica,
in epoche così vertiginose,
che nulla qui sulla Terra ha neppure il tempo di tremare.
il tavolo sta dove stava,
sul tavolo il foglio, così come fu messo,
per la finestra socchiusa soltanto un buffo d’aria,
e nella parete nessuna grossa crepa,
per la quale dovunque ti soffierebbe.
Wislawa Szymborska
Piccola città
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......
Piccola città io ti conosco
Nebbia e fumo non so darvi il profumo del ricordo
Che cambia in meglio
Ma sono qui nei pensieri, le strade di ieri
Che tornano
Visi e dolori e stagioni, amori e mattoni
.....
Piccola città vetrate viola
primi giorni della scuola, la parola ha il mesto odore di religione;
vecchie suore nere che con fede
in quelle sere avete dato a noi il senso di peccato e di espiazione:
......
Sciocca adolescenza, falsa e stupida innocenza,
continenza, vuoto mito americano di terza mano,
pubertà infelice, spesso urlata a mezza voce,
a toni acuti, casti affetti denigrati, cercati invano;
se penso a un giorno o a un momento ritrovo soltanto malinconia
e tutto un incubo scuro, un periodo di buio gettato via...
Francesco Guccini
Passando in macchina, lo vidi e lo riconobbi, anche se erano passati più di cinquant'anni.
Era stato il primo ragazzo che avevo baciato. Avevo sedici anni allora e un bacio era una trasgressione gravissima. Ne parlavamo a scuola tra compagne, in gran segreto.
Solo chi ha passato l'adolescenza in una piccola città di provincia negli anni '50, inizio anni '60, può capirne il clima rigido ed oppressivo.
Ci incontravamo su una panchina del parco cittadino a chiacchierare, stavamo attenti a non farci vedere da qualche insegnante.
Una volta si profilò in distanza una sua professoressa e lui volle nascondersi dietro una siepe. "Ma tanto non ti vede" dissi io e lui "Ma sente l'odore". Era un fumatore e io risi molto a quella battuta.
Non era un grande amore e finì presto, senza una lacrima.
Finite le scuole superiori, non ebbi più occasione di parlargli.
Quando lo vidi, stava per entrare nella villetta che era stata dei suoi genitori; la ricordavo bene, ci avevamo fatto alcune festicciole: un giradischi e qualche ballo, il ballo del mattone, il twist... anche se la stanza era piccola e non ci potevamo scatenare.
Quel giorno avevo fretta e non mi fermai per salutarlo. "La prossima volta" pensai.
La volta dopo, alcuni mesi più tardi, accanto al cancello della villetta c'era un manifesto da morto.
La città è CASALE MONFERRATO, la città dell'Eternit e il mesotelioma, il cancro ai polmoni, causato dalle fibre di amianto, un male che non dà scampo, aveva colpito anche lui.
Si chiamava RENATO
I morti per mesotelioma sono ormai diverse migliaia, una percentuale molto molto alta della popolazione di Casale e dintorni. I dintorni sono sempre più vasti, i venti trasportano lontano le leggerissime fibre.
Ho visto morire tantissimi cugini, zii, amici, vicini di casa.
Giancarlo era nato quando io avevo dieci anni, ricordo quando mio zio mi diede l'annuncio della sua nascita, una volta l'avevo aiutato in un compito su I promessi sposi; Anna era stata la mia prima allieva, era bionda e dolcissima; Virginia, la cugina prediletta; Paolo, compagno dei giochi d'infanzia....
Ho visto morire mia madre, la morfina non bastava a togliere il dolore, aveva ottant'anni, ma quando venne il medico di famiglia per constatare il decesso, disse con rabbia: " Questa donna sarebbe vissuta fino a cent'anni".
Lei aveva lavorato all' Eternit per trentacinque anni, ma il mesotelioma non fa ingiustizie, non seleziona in base al lavoro, alla condizione economica, alla cultura, al personale prestigio, all'età...
Diversi cugini e amici sono tuttora ammalati.
La fabbrica dell'Eternit è stata chiusa nel 1986, smantellata nel 2000, ma l'incubazione della malattia è lunghissima e te la porti dentro anche se vivi da un'altra parte; il picco delle morti non è ancora stato raggiunto; sapendo di essere a rischio, non aggiorno più i dati, ma
la strage continua
silenziosamente, dolorosamente, tragicamente.
industrializzazione!
Da paese povero che eravamo, anche noi,
grazie all'industria, diventeremo ricchi!
Ci ragiono e canto -1966 -Dario Fo
La fabbrica non esiste più,
MA LA SUA STORIA CONTINUA
Langhe
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... nelle sere d’autunno e d’inverno mandavamo Emilio alla cascina più prossima a farsi accendere il lume per avanzare lo zolfino. Io ci andai una volta sola, una sera che Emilio aveva la febbre, e quelli del Monastero m’accesero il lume, ma la vecchia mi disse: - Va’, e di’ ai tuoi che un’altra volta veniamo noi da voi col lume spento, e lo zolfino dovrete mettercelo voi.
... da Tobia si mangiava di regola come a casa mia nelle giornate più nere. A mezzogiorno come a cena passavano quasi sempre polenta, da insaporire strofinandola a turno contro un’acciuga che pendeva per un filo dalla travata;
....l’acciuga non aveva già più nessuna figura d’acciuga e noi andavamo avanti a strofinare ancora qualche giorno, e chi strofinava più dell’onesto, fosse ben stata Ginotta che doveva sposarsi tra poco, Tobia lo picchiava attraverso la tavola, picchiava con una mano mentre con l’altra fermava l’acciuga che ballava al filo.
pubblicato nel 1954
Un giorno di primavera, andando in giro per le Langhe, a Morbarcaro, paese natale di Fenoglio, colsi il seguente dialogo fra un contadino e una signora di città.
Il contadino, dotato di uno splendido paio di baffi e di un regolare cappello di paglia, stava potando le rose davanti alla sua recente villetta; la signora di città gli parlava di un suo condomino:
- Un professore, sa, un professore ha fatto tutto il Cammino di Santiago a piedi, tutto, tutto a piedi, sono tanti giorni, sa, a piedi.
Contadino: - Si vede che a voi le scarpe non costano niente.
Nel commento del contadino riverberava ancora il ricordo non troppo lontano di secoli e secoli di civiltà contadina quasi immutabile, della povertà, della fatica per ricavare qualcosa dalla terra e dagli animali, quando ogni oggetto, anche un fiammifero, aveva un valore. L'ironia, di poche e incisive parole, nasceva dalla concretezza, per cui un lungo pelligrinaggio a piedi, non portando alcun vantaggio materiale, era inutile.
Le trasformazioni agricole ed economiche del secolo scorso si riassumevano nelle parole del contadino e nella villetta alle sue spalle. .
......e anche questa è Storia.
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