Franco Marra
Reverso itinere
- Scritto da Franco Marra
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Quello che gli dava più fastidio era osservarsi al mattino nello specchio: gli seccava notare i primi fili bruni tra i capelli bianchi, notare che i muscoli vizzi delle braccia andavano rassodandosi, e che la pancia piano piano si faceva più piatta. Mentre si lavava i denti aspettando quel po’ di sangue che non si decideva ad uscire, ripensava ai suoi amici, che avrebbe incontrato quel pomeriggio per la solita partita a scopa al circolo del Partito. Da tempo notava che camminavano con un passo un po’ più vivace, erano più aggressivi, meno inclini a fermarsi al biliardo o a giocare a carte, vociavano, volgevano sguardi inquieti fuori dalle finestre, ogni tanto ce l’avevano con il governo, sembravano più sicuri delle loro opinioni e delle loro idee, sempre più frequentemente parlavano di cortei e proteste. E lui, non lo voleva ammettere, ma si sentiva sempre più incline ad assecondare tutto questo inatteso e molesto dinamismo, che veniva a turbare il ritmo così regolare che aveva scandito fino ad allora le sue giornate: la partita a carte, i giardinetti con la solita panchina e con un po’ di granaglia per i piccioni, e i lavori della metropolitana da osservare con le braccia intrecciate dietro la schiena. Tutte cose che, chissà perché, non lo attiravano più come una volta. E ancora, nei confronti delle poche compagne che frequentavano il circolo cominciava a sentire una strana attrazione che lo preoccupava molto. Gli piaceva sempre più come si muovevano, come camminavano, e si sorprendeva a far correre lo sguardo sui loro corpi in posti che non riusciva a capire perché dovessero interessargli poi così tanto. Le curve, soprattutto, era stranamente affascinato dalle curve, lui, che come geometra prediligeva le linee rette e le figure squadrate. Anche loro sembravano più pimpanti, quasi più disponibili, ogni tanto lo guardavano negli occhi, e questo gli metteva un po’ di paura.
Ahimè, forse stava cominciando a ringiovanire. Questa la triste realtà che si imponeva riflessa nello specchio davanti a lui. Rabbrividì, pensando agli anni agitati e incoscienti della gioventù che lo attendeva, e pensò con sgomento al periodo buio dell’infanzia, quando, all’inevitabile tornare indietro del tempo, avrebbe perso sempre di più la cognizione del mondo attorno a lui.
E infine provò terrore davanti all’abisso insondabile della nascita.
La mia macchina fotografica
- Scritto da Franco Marra
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La mia macchina fotografica è difficile da usare: ha moltissime ghiere, e tanti pulsanti identificati da acronimi per specialisti; il manuale allegato al prodotto sembra il Necronomicon di cui parla Lovercraft redatto dall’arabo pazzo Abdul Alhazred (“… ecco le chiavi. Cerca le serrature; sii soddisfatto. Ma ascolta ciò che dice Abdul Alhazred: per primo io le ho trovate: e sono pazzo”).
Già. Ma perché allora ho speso una somma non banale per comprarmela? Ma per fare belle foto, ovvio! E non ti bastava lo smartphone? Certo, per le mie esigenze fa foto eccellenti. E allora?
Questa mattina, esausto per aver letto qualche capitolo di un libro di qualche centinaio di pagine rigorosamente in inglese dedicato alla mia macchina fotografica (l’autore è probabilmente un seguace dell’Arabo Pazzo), mi sono posto il problema. Ci ho pensato, stimolato da una mail di una allieva ormai amica e talvolta collaboratrice del mio blog (malgrado io sia all’oscuro di molto segrete cose, infierisco con sinistra periodicità su ignari pensionati propinando corsi di gestione di contenuti digitali: è la maledizione dell’Arabo Pazzo che colpisce gli innocenti!), ne ho parlato confrontandomi con la mia signora, e sono giunto alla mia conclusione. Che la vita, nella sua essenza primitiva, non è facile. Ma diverte. E’ come la mia macchina fotografica. Ma perché?
Il pallido cerchio del sole a fatica si intravede nella bruma del tardo pomeriggio; a tratti, rabbiose raffiche di vento portano sferzate di neve gelata ad accumularsi sul sentiero verso le grotte. L’uomo di Neanderthal avanza lentamente nella brughiera dell’Europa glaciale, trascinando con sforzo un quarto del cervo abbattuto qualche ora prima vicino al guado con la sua lancia dalla punta di ossidiana, fissata all’asta con pece e tendini animali, nel corso di una caccia di gruppo. Lo sta portando alla grotta dove lo consumerà in comune dopo averlo abbrustolito sul sacro fuoco familiare. Grazie alla sua caccia, il gruppo potrà forse sopravvivere fino al ritorno della tiepida estate continentale.
Ma si diverte? Io penso di sì: e in particolare la sera, sazio, davanti al fuoco, raccontando le sue gesta di cacciatore agli occhi spalancati dalla meraviglia e dall’ammirazione dei suoi follower.
Io invece torno al mio PC per sviluppare le foto prese per la strada, dopo aver cacciato soggetti e giuste condizioni di luce, e aver trafficato fino all’intrecciamento “dei diti” con ghiere, pulsanti, menù e rotelline, tentando di tenere il tutto ragionevolmente fermo per evitare immagini mosse.
Sto giocando all’uomo di Neanderthal, è chiaro! Se usassi lo smartphone giocherei invece al torinese in pensione sulla spiaggia di Alassio. E’ una bella differenza (almeno per me)! E’ il motivo per cui quando faccio FOTO non uso lo smartphone (spesso lo uso invece per fare semplici foto, quando non sono affetto da disturbi bipolari). Non mi piace rappresentarmi come un ectoplasma di quadro Fiat sul bagnasciuga della pensione Sorriso. Quando vado in giro a fare foto voglio sentirmi come un peloso Neanderthal con le narici nel vento del paleolitico medio ad annusare prede, e il cui unico rimpianto è che i dinosauri siano spariti da qualche centinaio di milioni di anni.
Credo si tratti del senso di sfida.
Nonno Neanderthal sopravviveva perché sapeva fissare punte di ossidiana all’asta della zagaglia con pece e tendini di animali. Io voglio fare foto tali da far trionfare la parte narcisista del mio ego nella jungla social. A parte l’evidente disparità degli obiettivi (del resto io non cucino brani di cervo sul fuoco tribale, ma mi limito talvolta durante la caccia a farmi uno spritz in piazza Maria Teresa), entrambi ci poniamo uno scopo che cerchiamo di raggiungere sfruttando al meglio quello che sappiamo.
Dipende dalle motivazioni e dalle ambizioni: la gente che usa lo smartphone senza consapevolezza ma magari per condividere con la famiglia un momento di gioia fa la cosa giusta: non sta facendo FOTO, sta condividendo un attimo di felicità, usando una foto. E' cosa ben diversa. Ma se vuoi fare FOTO, impara a farle, anche con un telefonino. E se sei un ambizioso che scalpita di fronte all’asticella dell’ostacolo, procurati una macchina fotografica decente e sfrutta l’occasione per imparare tutte quelle cose che lo smartphone volutamente ti nasconde per renderti la vita facile (e massimizzare la sua penetrazione di mercato).
La tecnologia infatti può rendere le cose più facili. Il Sapiens (si fa per dire) ora abbatte le allodole con un calibro 28 a ripetizione, invece di stremare cervi con lunghi inseguimenti nella neve dopo averli feriti con una punta di ossidiana, come faceva Neanderthal 50000 anni fa.
Questo rendere le cose accessibili a tutti semplificandole può essere un bel rischio, a pensarci bene. Consideriamo, ad esempio, la pratica democratica del voto. Immaginiamo – per assurdo e solo come esperimento mentale – che improvvisamente si affaccino sulla scena politica emersi dalle tenebre dei peggiori incubi l’Arabo Pazzo e l’Uomo Nero. Il primo ci ammalierà con le sue magie, tirando fuori dal cappello mirabolanti conigli magici, e spiegandoci che la via per il paese dei balocchi è semplice e in discesa; il secondo ci spaventerà descrivendoci minacciosi esseri venuti da paesi lontani ad insidiare le nostre notti.
Cosa potrebbe mai capitarci se non avessimo gli strumenti culturali adatti da poter opporre a simili subdole lusinghe?
Meno male che si tratta solo di fantasie…
My Tunes
- Scritto da Franco Marra
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Vorreste ascoltarli? Magari scaricarli? Bene, prima vi dovete connettere con "Entra, esci, registrati". Se non siete ancora tra gli amici, dovete prima ancora registrarvi, sempre usando la stessa voce di menù, e poi connettervi. Andate quindi sulla pagina di Musica, e poi cliccate sul "My Tunes" sulla sinistra (compare solo a chi si è loggato). Si aprirà allora un magico mondo di cartelle, organizzate per interprete, e all'interno di ogni cartella una serie di pezzi che potrete semplicemente ascoltare o, perché no, scaricare.. in silenzio ovviamente, non fatemi avere grane! E già che ci siete, potreste scrivere un articolo: vi è piaciuto il pezzo? Cosa vi ricorda? Oppure volete scrivere su qualche altro argomento? Bene, fatelo: infatti gli amici possono anche scrivere su un loro blog (usando poche, chiare e semplici istruzioni: scrivi nel blog, tutti gli articoli del blog e "nuovo", in fondo alla pagina) oltre che, da questo momento, accedere alla mia musica. Che sarà sempre in continua evoluzione (ora siamo a 332 pezzi, dagli AC/DC a Zac Brown: una collezione iniziata piano piano un po' più di 6 anni fa!).
Buon divertimento!
La grande paralisi
- Scritto da Crosstalk
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Mario Somigli ha pubblicato su Facebook un contributo così esemplificativo dello stato dei processi decisionali in Italia che non posso che riprodurlo qui così com'è - assumendomi la responsabilità di un suo implicito permesso di pubblicazione. Eccolo dunque:
"Copio e incollo perchè non riesco a condividere.Piccola storia, di come funziona oggi il nostro paese, che vale la pena raccontare (e per chi ha pazienza leggere).
Un bel giorno un Governo decide di riformare un settore importante del paese e per farlo usa lo strumento della legge delega. La legge, dopo 12 mesi circa, dopo i passaggi di Camera e Senato, dopo molti emendamenti, dopo il recepimento dei pareri del Consiglio di stato, di comuni e delle regioni (conferenza unificata) , ottiene finalmente il via libera.
A quel punto il Governo deve emanare i cosiddetti decreti attuativi affinché i cittadini possano vedere la legge produrre i suoi effetti.
Cosa accade a 4 (su 18) di questi decreti attuativi? Vediamo. Come per tutti gli altri decreti, il Governo scrive il testo che, anche in questo caso, deve andare di nuovo sia alla Camera che al Senato (alle commissioni competenti) , al Consiglio di Stato e al parere di comuni e delle regioni (sempre in conferenza unificata). Il governo recepisce, di nuovo, tutti i pareri di Camera e Senato, del Consiglio di stato e gran parte di quelli di comuni e regioni. Sembra finalmente fatta, i decreti possono diventare legge ed essere applicati.
Invece no. Colpo di scena.
Una delle regioni nel frattempo aveva fatto ricorso alla corte costituzionale per lesione della propria sfera di competenza.
E cosa decide la Consulta? Con una sentenza "evolutiva" (cioè cambia idea rispetto a prima) statuisce che non basta che il Governo abbia aderito ai pareri del parlamento, del consiglio di Stato e di regioni e comuni: occorre un vero e proprio accordo con tutte le regioni. E qui viene il bello perché le regioni non decidono a maggioranza se fare o meno l'accordo , ma serve unanimità. Quindi se una sola regione è contraria niente accordo. Non conta la volontà del Governo, né l'ok di camera e senato, né quello del Consiglio di Stato e nemmeno l'ok di chi rappresenta ottomila comuni e l'ok di 19 regioni. Se una regione e' contraria salta tutto e la legge non si fa. Dopo due anni , abbiamo scherzato.
Così funziona oggi il nostro assetto istituzionale. Questi sono alcuni degli effetti (e costi) del bicameralismo perfetto e del riparto di competenze tra Stato e regioni.
Proprio sicuri di volercelo tenere così ? Sicuri che non serva cambiare? Perché quando i contrappesi diventano molto più dei pesi , il risultato è la paralisi."
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